Ricordati dell’amore – prima parte –

Alla memoria di Greta, l’angelo che ha ispirato questa storia

Si rincorrono in quell’enorme prato che risale la collina lasciando una scia d’erbe calpestate alle loro spalle. Cristina lo precede di una ventina di metri, Alessio invece corre col cuore in gola perché vorrebbe afferrare la sua ragazza il prima possibile. Lei ride e sbuffa, continua a salire ma non ce la fa quasi più. Ancora due o tre metri ed Alessio finalmente l’avrà raggiunta, tanto che ormai al culmine dello sforzo trattiene il fiato ed allunga il braccio verso di lei…l’afferra in vita con un placcaggio morbido in stile rugbistico. Cristina lancia un urlo di finto spavento AUUU! e si lascia cadere a terra ridacchiando. Adesso lui gli è sopra ansimante e la fissa negli occhi. Ma il suo respiro è così affannoso che non lascia spazio a nessuna parola. Sono a terra, avvolti dalla luce del pomeriggio che comincia ad assumere sfumature color rossiccio. Allora in quel momento sospeso, Alessio ancora col fiatone, si lancia in una serie di baci delicati sul viso della sua bella: è una raffica di piccoli baci portati con generosità senza tralasciare nemmeno un lembo di pelle, fino a raggiungere le labbra di lei. A Cristina scappa ancora una risata ma Alessio non cede e la bacia ancora con passione finché lei non si abbandona  alla sua dolce cura. Sono come onde di un mare calmo all’ora del tramonto e così si lasciano cullare e vorrebbero che quell’attimo fosse eterno.

Irrompe prepotente il suono del clacson di un grosso camion che sta facendo manovra nel parcheggio della ditta. Alessio ritorna in sé e stringe le mani sulla manopola di marcia del mezzo. Quel ricordo risaliva all’inizio della primavera quando Cristina gli aveva comunicato che entro un paio di mesi sarebbe partita per gli Stati Uniti: la aspettava un contratto di lavoro presso la filiale americana della casa farmaceutica per cui già lavorava in Italia. La sua Cristina sarebbe partita per New York, in tasca un contratto di tre anni, tanto per cominciare. “Per me sei unico lo sai ma è giusto che io faccia questa esperienza”. Cristina ci aveva pensato mille volte prima di prendere una decisione: voleva bene ad Alessio, quel ragazzo le faceva battere forte il cuore. Con lui ogni singolo momento era speciale, mai scontato, mai banale. Quel ragazzo l’aveva conquistata giorno dopo giorno a partire da quella volta che s’intrattenne con lei a parlare dietro al bancone del bar. A venticinque anni però per Cristina questa era un’opportunità meravigliosa, stimolante: “abbiamo tutti e due bisogno di fare la nostra strada” tre anni e poi ritorno indietro” gli aveva detto a bassa voce “poi con Skype possiamo vederci praticamente tutti i giorni”.

Ad Alessio era crollato il mondo addosso, voleva che la sua Cristina restasse al suo fianco non dietro ad uno schermo, lontana migliaia di kilometri. Aveva bisogno di confidarsi con lei, passarla a prendere in macchina e andare ovunque, purché fosse con lei. Aveva bisogno di guardala negli occhi, di fare l’amore con la sua Principessa.

Erano cresciuti entrambi in due piccoli borghi dell’Appennino emiliano, poco distanti uno dall’altro ma gli scherzi del destino li avevano portati a conoscersi solo un anno prima. Alessio aveva visto più d’una volta quella ragazza un po’ timida a qualche festa di paese. In mezzo alle sue amiche sempre vestite all’ultima moda, lei era poco appariscente. Eppure agli occhi di Alessio quella ragazza era apparsa subito affascinante nella sua semplicità. Ma nulla era accaduto fino a quel giorno nel pub quando Alessio trovò il coraggio di fermarla mentre ritornava dal bagno: “Ciao ti ho visto mille volte ma non so neanche come ti chiami”. Erano bastate queste semplici parole per attaccar bottone e per scoprire quanto la simpatia fosse reciproca.

L’estate ormai volgeva al termine e i colori delle foreste lungo i pendii viravano verso il rosso e  il giallo. Le giornate si accorciavano sempre più e la valle solcata dal fiume, all’ora del tramonto si rivestiva d’un nuovo fascino, più discreto, più malinconico.

Cristina era partita il 15 Maggio ed Alessio aveva dovuto passare tutti quei lunghi mesi senza di lei. Le prime settimane s’erano sentiti spessissimo su Skype ma per Alessio era qualcosa di simile alla tortura: gli raccontava dei suoi nuovi colleghi di laboratorio che come lei venivano da tutte le parti del mondo e formavano un team internazionale molto affiatato. Gli raccontava che spesso usciva con loro a far serata, ogni volta in un locale diverso per assaporare tutto ciò che di bello offriva la grande metropoli. E poi gli diceva: “divertiti anche tu e non stare troppo a pensare a me!”. Alessio la ragguagliava svogliatamente riguardo le sue uscite con gli amici, ad Agosto avevano insistito per portarlo una settimana con loro a Riccione ma lui non aveva voluto sentir ragione. E poi Cristina gli diceva: “ricordati che se non stai bene con te stesso non puoi star bene con nessun altro”. Anche se capiva benissimo il senso di quelle parole, la mancanza della sua ragazza era più forte di qualsiasi buon proposito. Un giorno davanti allo schermo del computer Alessio le disse: “insomma adesso t’interessa solo l’America. Mi dicevi che la vita di città non faceva per te e che adoravi il tuo paesino e le tue valli…” e lei “scherzi, li adoro ancora ma nella vita si cresce e si cambia e poi questa per me è solo una grande esperienza che prima o poi finirà. Comunque ci sono mille ragioni per vivere in una città così stimolante come New York”. Alessio la sentiva sempre più distante e giorno dopo giorno crebbe in lui una specie di risentimento inconscio, una specie di repulsione verso quel mondo seducente che Cristina enfatizzava tanto. Tra l’altro non gli aveva ancora detto  che tra lei ed un suo collega francese, Thomas, c’era stato qualcosa. Pensava che non fosse così importante, alla fine lei non aveva fatto nulla di male. Era successo tutto durante quella settimana di ferie a fine Agosto .

Vacanza per quattro a Miami. Paula aveva trovato biglietti aerei scontatissimi e diceva che avrebbero dovuto assolutamente andarci prima che arrivasse la stagione dei tifoni e degli uragani. Thomas era nello stesso gruppo di lavoro di Cristina, si occupavano di testare una serie di molecole in fase di sperimentazione. Era quello che si dice un bel pezzo di ragazzo, francese di Lione, brillante e molto simpatico, a Cristina in particolare piaceva quella sua sottile ironia che rendeva tutto più leggero anche quella parte più noiosa del loro lavoro. Quel giorno avevano noleggiato una macchina, attraversato Down Town Miami diretti verso l’isola di Key Biscayne che collegata da una serie di ponti a Virginia Key, costituiva una sorta di penisola immersa nell’Oceano a Sud di Miami. Decisero di passare la giornata al Cape Florida State Park, un bel parco dalla rigogliosa vegetazione tropicale, circondato da una lunga distesa di spiagge bianche, intervallate qua e là da dune sabbiose. Era un luogo più rilassato e meno affollato della più rinomata South Beach. Così si prospettò una giornata di mare tropicale in completo relax, spiaggia bianca, acqua blu dai riflessi verdognoli e qualche coloratissimo cocktail. Passarono una mattinata perfetta con mille tuffi in acqua sotto un sole splendente. Nel pomeriggio inoltrato, si incamminarono lungo i sentieri che conducevano al Faro del Capo, la guida tascabile che Cristina portava nello zaino diceva che la vista del faro sarebbe stata un’esperienza emozionante. I quattro ragazzi erano decisamente di buon umore, era una di quelle giornate dove lo spicchio di mondo in cui stai vivendo ti sembra esattamente il luogo ideale che hai sempre sognato. Giunti di fronte all’imponente guardiano del mare, Enrique fu il primo che si affrettò ad imboccare la ripidissima scala a chiocciola che conduceva in cima. Infilando le scale con un balzo gridò agli altri che si erano attardati: ”chi arriva per ultimo paga da bere!” Paula fu la prima che si lanciò al suo inseguimento, in quel momento anche Cristina accettò la provocazione e fece uno scatto e Thomas dietro di lei fingendo di volerla superare. Le si era affiancato e le dava dei piccoli buffetti di spalla per farle perdere l’equilibrio “You’re gonna be the last one baby!” Cristina però non si fermò e ridacchiando prese a spintonare anch’essa Thomas finché non giunsero all’imbocco della scala.  Thomas con un  gesto teatrale fece finta di cadere, apposta per lasciarla passare. I tre dietro Enrique giunsero in cima col fiatone e Cristina appena si affacciò sul balconcino esclamò soddisfatta: “Wow it’s  such a beautiful wiew”.  La vista panoramica a trecentosessanta gradi spaziava a perdita d’occhio sull’Oceano oltre la barriera corallina. A nord si vedeva la rigogliosa vegetazione di Virginia Key e ancora oltre il profilo dei grattacieli di Miami. La città era sufficientemente lontana da sembrare sbucare anch’essa come un isola in mezzo all’Oceano. Enrique indicò a Paula il profilo quasi impercettibile di una serie di isole che appena si intravvedevano, disperse sulla linea dell’orizzonte. In quell’istante Cristina si girò verso Thomas e gli fece una linguaccia, Thomas le era praticamente di fronte ma non reagì per nulla al gesto di Cristina. Invece la fissò in un modo strano e allora anche lei si immobilizzò e prese a fissarlo con uno sguardo indagatore. Ma lui non gliene diede quasi il tempo e con un movimento rapido e furtivo la baciò sulla bocca. Cristina era immobile, lo fissava sorpresa ed incuriosita e allora lui replicò il bacio però questa volta premendo le sue labbra contro quelle di lei per qualche secondo. Quando cessò il contatto Cristina si ritrasse, aveva un aspetto angelico e intimidito, gli occhi le brillavano in un mix di agitazione e spavento.

Erano passati cinque mesi. Per Alessio il venerdì sera in birreria con gli amici era un appuntamento fisso che non mancava mai neanche quando stava con Cristina. In quelle serate davanti  ad una pinta con gli amici di sempre, si rivoltava il mondo come un calzino e chi la sparava più grossa pagava da bere. Ma ultimamente Alessio era diventato piuttosto silenzioso e gli amici percepivano perfettamente il suo stato d’animo. Quello che però non capivano era perché Alessio non se ne facesse una ragione. Quella sera si stava parlando di cani da tartufo. Bruno aveva appena preso una cagnetta e la stava addestrando come gli aveva spiegato suo nonno, un buon cercatore di tartufi nonostante l’età avanzata. Alessio solitamente era attratto da quegli argomenti , a lui piaceva andar a funghi per i boschi in compagnia del padre. “ Sto addestrando Briciola con delle palline di gomma cosparse di olio al tartufo, cerco di farla giocare il più possibile” “e te le riporta?” gli chiese Ivan “beh delle volte si, altre no, bisogna insistere, attraverso il gioco il cane impara giorno dopo giorno, un po’ come un bambino” “Quale bambino?” disse Alessio all’improvviso. Bruno con fare sarcastico rispose “see ciao Alessio! La mia cagnetta, stiamo parlando della mia cagnetta, torna sulla terra!”. A quel punto Ivan rincarò la dose e disse “cazzo Ale, non puoi rovinarti in questa maniera per lei…la vita continua! Guarda quel tavolo là in fondo, c’è la Saretta con le sue amiche, adesso vado lì e gli dico che qui c’è un uomo disperato che ha bisogno di amore, va bene?!” “Ma smettila, non fare il cretino” ribatté Alessio. Ivan però voleva mettere le cose in chiaro una buona volta: “Guarda che qui se c’è un cretino, quello sei tu che stai a pensare ancora a quella…Cristina. Ma non l’hai capito che lei non tornerà mai più da te? Un amico queste cose ha il dovere di dirtele…ma non capisci? Lei ha deciso come fanno tanti altri ragazzi italiani che il nostro paese le va stretto. Ma è chiaro no! Qui la vita da noi è fatta di aria pulita, fiumi, montagne, colline, funghi, tartufi, quattro cazzate al bar e grandi bevute da soli o in compagnia. Viviamo in un posto bellissimo, ci siamo cresciuti, ci basta salire in cima al monte qua sopra per essere felici, o no?? Però è chiaro che questo è tutto quello che abbiamo e a qualcuno può sembrare poco perché i grandi film, i grandi concerti, i grandi artisti non ci vengono mai da noi. Qui le novità che cambiano il mondo mica possiamo viverle in prima persona. E per fortuna che da vent’anni a questa parte abbiamo internet”. Bruno la pensava come Ivan “E poi fosse la prima che se ne va, hai presente quanta gente è emigrata dalle nostre valli?”  e subito aggiunse “ poi scusa, Cristina ha fatto l’Università, era chiaro che se aveva un minimo di ambizione mica poteva rimanere qui al paesello…” Alessio avrebbe voluto replicare, manifestare il suo disaccordo. Avrebbe voluto dirgli che anche nella loro valle era possibile costruirsi un futuro felice tanto quanto quello di un qualsiasi abitante di una metropoli. Avrebbe voluto dirgli che di tutte quelle grandi cose che accadevano a New York o a Parigi, in fondo se ne poteva fare benissimo a meno. Avrebbe voluto dirgli che c’erano più persone infelici ed emarginate in quelle grandi città che non in campagna. Ma stette zitto perché tanto anche tutte queste ragioni messe insieme non gli avrebbero riportato indietro la sua Cristina.

Quella sera nella camera dell’ hotel Cristina si era confidata con Paula, le aveva raccontato del  bacio di Thomas, le aveva detto che con lui non sapeva come comportarsi “si avevo capito che era successo qualcosa” le rispose Paula “ a me pare che tra di voi ci sia qualcosa di più di una semplice amicizia…” certo Cristina lo sapeva bene “ si ma io sono fidanzata e voglio molto bene ad Alessio, insomma non so come comportarmi” “beh ascolta, se tu vuoi bene ad Alessio questo non significa che tu non possa star bene anche con Thomas. Purtroppo Alessio non è qui con te mentre Thomas sì”. Il volto di Cristina però continuava ad esprimere incredulità e smarrimento, allora Paula aggiunse: “quello che voglio dirti è di non essere così rigida, lascia andare le cose come vanno perché alla fine la prima a soffrirci saresti tu.” Cristina pensò che in fondo la vacanza a Miami era stata molto piacevole, avevano goduto di un mare stupendo e si erano divertiti un sacco. Il giorno dopo sarebbero rientrati a New York e si sentiva già proiettata verso le mille cose da fare, verso le mille possibilità, verso il succo della vita. Si sentì una ragazza fortunata.

Era la prima pioggia di Settembre. Il cielo era grigio e l’acqua cadeva incessantemente ad un ritmo regolare. Alessio manovrava il suo carrello elevatore muovendosi in maniera quasi robotica dato che le operazioni per scaricare il grosso carico dovevano essere ripetute molte volte di seguito. Complice il cielo plumbeo, complice il fatto che fosse lunedì ed il fatto che non aveva ancora bevuto il caffè, Alessio si sentiva particolarmente giù di morale. In realtà nessuna di quelle condizioni era sufficiente a giustificare il suo pessimo stato d’animo. La verità era un’altra e lui lo sapeva bene…Stava muovendo delle grosse casse in legno contenenti diversi semilavorati in ferro e acciaio. Ad un certo punto inforcò con le pale del carrello una grossa cassa sulla quale poggiava una più piccola. Il carico era estremamente pesante. Alessio eseguì all’incirca la stessa manovra che aveva praticato anche per il restante carico dell’autotreno. Peccato però che questa volta avrebbe dovuto spostare il peso tutto a sinistra per evitare un’altra cassa dalla forma irregolare. Ma non lo fece. Così la cassa più piccola fu sbalzata dalla sua base d’appoggio e quando Alessio se ne accorse, fu troppo tardi. In un attimo tutto il contenuto si rovesciò a terra, giusto davanti al grosso autoarticolato. Alessio alzò gli occhi al cielo sconsolato. Sotto la pioggia battente gli toccò raccogliere uno ad uno tutti quei pezzi fatti di un materiale massiccio e pesante. In quel momento sembrò persino che la pioggia fosse aumentata d’intensità ed era solo inizio settimana.

Dietro Central Park, oltre la Columbus Circle, Broadway si trasforma in strada di hotel, ristoranti e naturalmente teatri. Cristina ne era rimasta affascinata sin dalla prima volta quando attraversando per un tratto Central Park, aveva percorso un bel pezzo di Broadway a piedi leggendo tutte le insegne dei ristoranti e tutti gli affascinanti titoli dei cartelloni teatrali. Thomas si era presentato ad inizio settimana con due biglietti per un musical al Music Box Theatre, un piccolo teatro tra la 45th e la 46th Strada. “Vedrai ti piacerà, parla di amore, libertà e solitudine, insomma tutto quello che c’è da sapere della vita. Non ti pare?” Poi mostrando i biglietti aveva sfoderato un sorriso ammaliante. Cristina le rispose che ci avrebbe pensato, in cuor suo però era già persuasa ad accettare l’invito.

Culumbus Circle, sotto il monumento dedicato al navigatore genovese, questo era il punto d’incontro. Cristina arrivò un po’ prima dell’orario prestabilito perché aveva voglia di far due passi in Central Park. Il traffico cittadino all’orario di chiusura degli uffici, diventava super caotico. All’uscita della Metropolitana sulla 5th Avenue, si trovò immersa nel magma incandescente, multiforme e multicolore della metropoli: immancabile il variopinto chioschetto degli hod dog, dove un uomo panciuto di mezza età girava sulla piastra dei wurstel formato gigante. Un fiume infinito di automezzi aspettava dietro al semaforo. Nello stesso istante attraversarono le strisce pedonali impeccabili uomini in giacca cravatta e ventiquattrore. Un ragazzo con un cappellino di basket girato all’indietro, trascinava il suo skateboard mentre un altro ragazzo nero dalle lunghissime treccine, teneva poggiato sulla spalla uno stereo ingombrante. Un altro ancora camminava seguendo il ritmo della musica che ascoltava attraverso due enormi cuffie. In mezzo al folto gruppo di pedoni, vide una ragazza con un bel completino bianco e minigonna, sorpassare tutti ad andatura doppia. Lasciato l’incrocio brulicante di macchine e persone, Cristina si infilò nel parco, una vera e propria oasi di relax rispetto ai ritmi frenetici delle strade. Guardandosi attorno, rimase subito colpita dalla varietà cromatica delle chiome degli alberi, colori che suggerivano l’arrivo dell’autunno. Central Park in quei giorni si apprestava ad inscenare l’ambientazione ideale per un quadro impressionista: vaste sfumature di gialli, di rossi, di arancioni e di verdi si disponevano una di fianco all’altra creando un insieme armonico di colori e sensazioni. A Cristina riportarono alla mente la bellezza delle foreste del suo Appennino all’arrivo della stagione autunnale. E d’un tratto visualizzò delle immagini di lei ed Alessio su di un bel sentiero panoramico e sotto di loro la foresta incantata. Mentre camminava la prese uno strano sentimento di tristezza. Adesso il sentiero costeggiava un bel laghetto contornato di fiori e vegetazione lacustre. Un ponticello scavalcava un canale che univa i due specchi d’acqua, Cristina si fermò proprio al centro e si sporse per vedere il riflesso del suo volto. Ma fu colta dalla delusione: la distanza e la luce del tramonto disegnarono sull’acqua solo una figura sfocata.

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Thomas la aspettava puntuale sotto la statua di Cristoforo Colombo che dominava la piazza dall’alto del suo piedistallo. Alla sua vista, Cristina sorrise distesa, rassicurata dalla sua presenza. Thomas le disse: “I’m glad to share this beautiful soirée with you baby.” Quelle parole la misero subito  di buon umore e così i due ragazzi si incamminarono lungo Broadway. Lungo la via si fermarono a mangiare in un ristorante italiano, Thomas aveva una voglia tremenda di farsi un bel piatto di pasta. L’arredamento interno ricordava quello di una trattoria di paese ben curata, l’atmosfera era accogliente con quei faretti da parete che diffondendo una luce soffusa, contribuirono a creare un ambiente confortevole. Parlarono un po’ di lavoro, Thomas riusciva a ridicolizzare persino il loro serissimo responsabile di laboratorio, un professorone di fama internazionale. Poi fantasticarono su come sarebbe stato l’inverno a New York, certamente affascinante e pieno di sorprese per entrambi. Cristina soprattutto ascoltò e rise. Quel giovanotto di fronte a lei che parlava inglese con un buffo accento, la faceva star bene, la conquistava sempre più. Il tempo trascorse in un alone di leggerezza e camminare lungo Broadway con le luci della sera, conferì una sorta di aurea magica, quasi sognante. Arrivarono al Music Box Theatre. A lato dell’ampio ingresso composto da una fila di porte vetrate, campeggiava il manifesto dello spettacolo in cartellone: “ You will be found”. L’immagine era quella del famoso ufficio “Lost & Found” presente in qualsiasi aeroporto del mondo che con un gioco di parole, suggeriva il titolo dello spettacolo. Sul palco si alternarono una carrellata di personaggi diversi e storie diverse: un ragazzo e una ragazza provenienti entrambi da famiglie problematiche, incapaci di socializzare, si incontrarono fuori dallo studio di una psichiatra. Col tempo si farà strada fra loro un sentimento nuovo. Un uomo e una donna che avevano alle spalle le macerie dei loro matrimoni andati in fumo, si conobbero per caso fuori dalla scuola mentre aspettavano i figli all’uscita. Magicamente l’amore stava bussando di nuovo alla loro porta.  Un homeless che trascinava ogni mattina i propri stracci lungo il sottopasso della metropolitana, venne riconosciuto dalla figlia quando ormai la famiglia non aveva sue notizie da anni. Un avvocato di successo che tradiva regolarmente la moglie e meditava di lasciarla per un amante più giovane, scoprì le manie suicide del figlio. Quell’evento lo farà riflettere sul senso della famiglia e della vita stessa. Lo spettacolo fu toccante, tanto che fece vibrare le corde emozionali di Cristina. Lei seguì ogni scena e ogni trama musicale con grande coinvolgimento. Le canzoni ed i cori fecero il resto, amplificando le suggestioni. Thomas la guardava compiaciuto, contento di averle regalato una bella serata. Poi ci fu una scena in cui il giovane protagonista scrisse un messaggio alla ragazza entrata nel suo cuore. Il ritornello della canzone recitava le seguenti parole: “ i miei giorni erano tutti uguali, non c’era niente e nessuno per cui valesse la pena guardare sorgere il sole al mattino. Non c’era niente e nessuno per cui valesse la pena chiudere gli occhi al tramonto e sognare…tu mi hai trovato…You found me”. Suonarono i violini e la ragazza rispose: “ tu hai guardato nei miei occhi e hai trovato i miei fantasmi, hai guardato nella mia anima e hai trovato le mie paure. Hai guardato nel mio cuore e hai trovato me.” Ora gli occhi di Cristina si riempirono di una luce liquida e Thomas vide una lacrima e poi un’altra ancora rigarle il volto. Quelle parole erano andate diritte a segno e avevano smosso ricordi sopiti. Suonarono le viole, i violini e i violoncelli. I rintocchi del piano rimasero sospesi nell’aria così come il respiro di Cristina di fronte alle vicende umane dei protagonisti. Il Musical si concluse con tutti i giovani attori sul palco a cantare in coro: “ when everything seems to be lost, look around, you will be found”. Poi fu uno scrosciare di applausi debordanti che durò vari minuti mentre gli attori omaggiarono il pubblico con numerosi inchini. Cristina e Thomas applaudirono in piedi davanti alle loro poltrone. Lei era visibilmente commossa ed aveva ancora gli occhi lucidi, si voltò verso Thomas abbozzando un sorriso mentre si asciugava una lacrima. Thomas la ricambiò con un lungo abbraccio.

Camminarono lungo Broadway verso la fermata della metropolitana senza dirsi una parola. La potenza emotiva di quello spettacolo richiedeva del tempo per decantare. Richiedeva del tempo per depositarsi in quel luogo segreto della mente dove risiedono tutte le gioie e i dolori dell’anima. Ad un certo punto Cristina disse: “ perdonami se ho pianto come una bambina ma quella canzone mi ha ricordato la storia tra me ed Alessio, quel legame che c’è tra lui e me e che io sto spezzando perché fondamentalmente sono un’egoista”…a queste parole Tomas non seppe bene cosa replicare “ sai Cristina vorrei dire che ti capisco ma in realtà non posso. Non posso pretendere di conoscere i sentimenti più profondi che ci sono tra te ed Alessio” la accarezzò delicatamente lungo il fianco ed infine le disse che la avrebbe accompagnata alla fermata della metro.

Dicembre, qualche giorno al Natale. No Cristina non sarebbe tornata, aveva pochi giorni di ferie. Il solito Venerdì in birreria. Bruno stava raccontando che l’ultimo dell’anno l’avrebbe passato con la sua  ragazza sulle Dolomiti. “ il massimo del relax e della natura incontaminata” “…ma più natura incontaminata della nostra valle dove la vuoi trovare?” gli rispose Ivan “ si vabbè ma hai presente le Dolomiti? Hai presente il Sud Tirol?? Li siamo praticamente in Austria anche se è ancora territorio italiano…un altro livello. Pensa che io e Amanda dormiremo in un Garnì che al suo interno ha anche un centro benessere con sauna, idromassaggio e bagni termali…scusa se è poco” “wow fantastico…beh invece noi poveri cristi ci accontenteremo di una festicciola in casa del Giova” Ivan si girò verso Alessio e gli disse “ Ale naturalmente anche tu sei invitato, il Giova mi ha incaricato di dirtelo…anzi dice che sei obbligato a venire perché ci sono anche un paio di sue amiche single…hai capito?” “ E comunque non esiste che l’ultimo dell’anno non lo passi coi tuoi soci”. Alessio lo tranquillizzò “ ragazzi vi ringrazio del pensiero, ci sarò di sicuro, non preoccupatevi” . I suoi vecchi amici erano come le rocce, Alessio sapeva che anche se ogni tanto si perdevano di vista comunque li avrebbe sempre ritrovati allo stesso posto, gli stessi compagni di cazzate e di avventure. Quelli che sulla Jeep del Giova, qualche anno prima erano partiti in sei con una tenda da quattro per andare in campeggio in Costa azzurra. Un viaggio a tappe “on the road” tra la Via Aurelia, l’Appennino Ligure e le Alpi Marittime, qualcosa di epico da tramandare alle future generazioni. Ma poi Bruno disse: “ Amanda ha deciso che la prossima primavera vuole andare a convivere con me. Avevamo parlato più volte di questa cosa ma ci sembrava sempre troppo presto e noi troppo giovani. Invece adesso abbiamo voglia tutti e due di stare sotto lo stesso tetto. Beh auguratemi buona fortuna!”. Questa frase buttata lì da Bruno felice di condividere con gli amici la grande notizia, per Alessio fu come un pugno allo stomaco perché riapriva quella sua ferita mai rimarginata. Un attimo dopo arrivò anche il Giova. Ivan lo accolse con un applauso “Graande Giova, sei arrivato al momento giusto, qui c’è da festeggiare! Bruno in primavera va a convivere!”. Il Giova che aveva appena fatto un cenno di saluto ai tre compari, galvanizzato dalla notizia, non si lasciò sfuggire l’occasione e ordinò subito un bicchiere di spumante per tutti. “ e bravo il nostro Brunetto allora fai le cose sul serio…insomma sei il primo della banda che fa il grande passo. Adesso ci hai aperto la strada, non ci resta che seguirti!” e così dicendo accompagnò queste parole con una fragorosa risata. Anche gli altri ridevano, Alessio si sforzò di sorridere ma dentro di sé soffriva. Giova, al centro della scena disse a Bruno: “guarda che poi per venire a farti una birra con gli amici dovrai chiedere il permesso eh!” Ivan lo seguì a ruota e aggiunse “poi sai come vanno le cose… dopo una settimana di lavoro al venerdì sera Amanda vorrà vedere un film col suo cucciolone e tu non saprai dirle di no e addio birra con gli amici…per cui bevi adesso finché sei in tempo!” Bruno rideva di gusto e disse “ va bene, va bene il prossimo giro di spumante lo pago io”. Alessio con quel suo sorriso a metà, non disse una parola. Seguiva le battute degli altri e beveva. Tre giri di spumante, il terzo lo pagò Ivan. I ragazzi si erano scaldati parecchio sia per la bella notizia sia per le bollicine che davano alla testa. Poi Giova disse: “ dai andiamo a fare due passi altrimenti qui stasera facciamo una brutta fine…” Si incamminarono per le vie del paese, deserte a quell’ora. Guardarono il cielo stellato che sbucava sopra i tetti delle case e Ivan ispirato dal momento, fece la seguente considerazione: “ pensa quante cazzate potremmo fare ancora insieme e tu Brunetto vuoi metter su famiglia…però abbiamo passato dei bei momenti eh”  “ma quale famiglia, quest’anno alla Festa dei Briganti ci ubriachiamo un’altra volta e poi andiamo di corsa al fiume a fare il bagno nudi, ok??” la voce di Bruno si infilò tra i tetti delle case e si perse nella fredda notte d’inverno. Si salutarono con la promessa di rivedersi tra una settimana. Ma Alessio no, non aveva nessuna voglia di andare a dormire. Aveva bisogno di calmare il suo dolore, aveva bisogno di affogarlo nell’alcool. Quando si congedò dagli amici, provò un senso di solitudine immenso come mai gli era successo prima. Sentiva freddo, si strinse nel suo giubbino e alzò la testa al cielo stellato. Era bellissimo, da perdersi dentro. Ma senza la sua Cristina faceva troppo male. Lei era in un altro mondo e quello stupendo cielo stellato non lo poteva vedere, non lo voleva vedere. Camminò di nuovo in direzione del pub e appena entrato, ordinò subito  una vodka alla pera. Mentre sorseggiava il suo liquore, posò lo sguardo su quel tavolino all’angolo dove c’era la Saretta con due amiche. Lei si accorse e gli lanciò subito un’occhiata interessata. Ma Alessio arrivato a quel punto, voleva solo ubriacarsi per anestetizzare il dolore. Ordinò un’altra vodka alla pera. Adesso guardava in terra, completamente alienato da tutto il resto. Desiderava solo rimanere in quello stato di trance, lui con quel dolore che gli strappava il cuore e gli toglieva il respiro. Sperava che l’alcool ad un certo punto funzionasse come un’anestesia totale e lo facesse cadere nel mondo dell’oblio. Poi però lo assalì una forte sensazione di nausea, allora con uno sforzo non indifferente richiamò a sé le ultime energie nervose per uscire dal locale. Quando passò vicino al tavolo delle ragazze, la Saretta gli andò incontro dicendogli: “hei come va, non ti senti bene?” “non è niente adesso, vado a casa” “ ma sei sicuro di farcela? Guarda che se vuoi ti do un passaggio…” Alessio fece un sorriso alla ragazza, gli appoggiò una mano sulla spalla e poi le disse: “va bene così, grazie”. Fece appena in tempo ad arrivare davanti alla sua macchina, appoggiò una mano sul cofano e vomitò tutto quello che aveva nello stomaco. Senza più forze e ridotto come uno straccio, si buttò sul sedile. Passarono cinque minuti prima che trovasse la forza di girare la chiave nel cruscotto. Si mise a guidare con la vista appannata nel buio della notte, le curve si susseguivano e la strada assecondò i dislivelli della montagna. Senza quasi nemmeno accorgersene ebbe un mancamento e poi sentì un colpo secco e uno strattone violento della cintura di sicurezza. Fu un brusco risveglio, la macchina era riversa da un lato nel fossato a fianco della carreggiata. Scrollandosi quel torpore che aveva addosso, il ragazzo lanciò un grido “Noooooo!” Poi aggrappandosi al sedile del passeggero raggiunse la portiera dal lato opposto e quasi con rabbia la aprì di colpo, tanto che perse l’equilibrio e cadde a terra. Così nel fosso a lato della sua vettura in quella tremenda notte stellata, Alessio pianse disperato, distrutto dalla sua penosa condizione umana.

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