Novembre ’18

 

Il solito caldo soffocante d’Agosto. Il Monte Pasubio è immerso in una coltre di nebbia. Abbiamo dormito al Rifugio Achille Papa là dove esattamente cent’anni prima sorgevano i baraccamenti che costituivano la sede del Comando Superiore, ovvero la base operativa delle azioni militari. In tre lunghi anni dal 1916 al 1918 il Pasubio divenne “la montagna delle gallerie” tante ne furono scavate per far fronte ad una guerra fatta di mine, mitragliatrici, lanciafiamme, mortai, lancia torpedini, obici, bombarde e cannoni. Come le 52 gallerie che vennero scavate per raggiungere le cosiddette Porte del Pasubio proprio dove oggi sorge il Rifugio Papa. Quel sistema di gallerie doveva permettere l’approvvigionamento della base logistica al riparo dai colpi d’artiglieria nemici.

Cent’anni dopo risaliamo il sentiero che conduce alla Zona Sacra di guerra dove i soldati morirono a centinaia uccisi dalle esplosioni, dalle fiamme e dalle raffiche di mitraglia. Cent’anni dopo, in mezzo a quella nebbia che ci fa scorgere a fatica la traccia del sentiero, ho l’impressione di essere stato catapultato sulla scena del crimine con la macchina del tempo: oggi è tutto silenzio ma lo scenario di guerra è simile ad allora. Dai trinceramenti e dalle caverne che si aprono lungo la via potrebbero sbucare in qualsiasi momento i soldati dell’una o dell’altra parte. Nella nebbia potrebbero sibilare all’improvviso i colpi dei proiettili, potrebbe echeggiare lo scoppio delle mine.

Il silenzio spettrale che ci accompagna verso la parte sommitale della montagna, potrebbe essere squarciato dalle grida strazianti dei soldati, i loro corpi dilaniati sotto la pioggia di proiettili e detriti rocciosi. Invece lungo il cammino ci sono solo poche figure di escursionisti irriducibili nonostante la giornata non sia delle migliori. Ad un certo punto raggiungo un uomo anziano che sale in compagnia di un ragazzetto. E’ un’immagine che in qualche modo mi rincuora perché intuisco chiaramente che quel nonno ha portato il nipote a ripercorrere quel capitolo della storia. Una pagina di storia tanto dolorosa quanto fondamentale nel processo di crescita dell’identità nazionale. E allora penso che non ci sia modo migliore per formare la coscienza civica di un giovane, se non quello di fargli toccare con mano quanti sforzi ha comportato l’ideale di una nazione e di un popolo uniti. Penso che una cosa del genere sia un vero e proprio antidoto contro l’omologazione consumistica che accerchia i nostri giovani.

In poco tempo li raggiungo e non esito un istante nel fare i complimenti al nonno. Lui prontamente mi ribatte che quella montagna ha un grande valore per la sua famiglia: lì ci aveva combattuto suo nonno, Galeazzi Davide, Sergente in un reparto d’artiglieria. Poi quell’uomo dall’aspetto bonario mi racconta un episodio accaduto il giorno prima: “ pensi che eravamo al Rifugio e per caso abbiamo conosciuto una famiglia che era salita fin quassù per commemorare il bisnonno caduto sul Pasubio proprio quel giorno di cent’anni fa…ma le pare un caso? Quella famiglia era dello stesso nostro paese e di mio nonno, Ceresara in provincia di Mantova. Al termine della commemorazione io ho risposto presente perché mi pareva che quell’uomo morto quassù ci avesse radunati tutti qui lo stesso giorno”. La morte di un povero soldato cent’anni prima, la nebbia, il paesaggio spettrale, quell’incontro inaspettato. La sensazione era quella di camminare sul filo della storia, di stare sul margine di un precipizio intuendone la profondità.

Il signore poi mi racconta che il nonno fu uno dei pochi fortunati che ritornò a casa. Il fatto che fosse un graduato e che fosse al comando di una postazione di tiro lo aveva sottoposto a rischi minori rispetto a quei poveri fanti mandati all’assalto con la baionetta e falcidiati dalle raffiche dei mitra. Ma al contempo il nonno Davide aveva visto tutti gli orrori della guerra sul Pasubio. Molto probabilmente il nonno aveva visto il Dente italiano andare in mille pezzi nell’esplosione della mina più potente di tutta la guerra: 50.000 Kg di esplosivo, oltre cinquanta italiani morti e altre centinaia di feriti. Quello fu l’apice della guerra sul Pasubio che paradossalmente non si concluse né con la vittoria degli austriaci né tanto meno con quella degli italiani.

Prima di congedarmi dai due mi accorgo che il ragazzetto ci osserva con la massima attenzione, la gita col nonno ha dato i suoi frutti, se la ricorderà a lungo.

Italiani ed austriaci manterranno le rispettive posizioni fino al 4 Novembre 1918 giorno in cui il Bollettino della Vittoria dichiarò la fine delle ostilità , ma sul massiccio del Pasubio prima di quella data dovranno morire ancora delle giovani vite durante assalti ed imboscate.

Oggi alla vigilia del 4 Novembre mi chiedo se il sacrificio di quei ragazzi sia servito almeno in parte a creare un Paese unito. A giudicare da quello che siamo diventati, la risposta sembra essere scontata. Quei ragazzi che in larga maggioranza erano poveri contadini analfabeti, spesso ignari verso quello a cui stavano andando incontro, animati solo dal tragico senso del dovere per la Patria.

Niente di più lontano dai sentimenti che animano oggi i nostri giovani ma anche gli adulti. Eppure quei morti sono lì che ci parlano ancora, sta a noi saperli ascoltare.

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